Continua il nostro cammino sulla preghiera.
Negli ultimi articoli, ho provato ad introdurti al significato profondo della preghiera.
Adesso dobbiamo fare un passo successivo. E credo sia opportuno continuare a riflettere sul concetto di due innamorati: perché l’amore fa scaturire la preghiera e la preghiera genera amore.
Amore e preghiera camminano insieme, tenendo per mano una terza amica: la Verità.
Quello dell’amore è un linguaggio universale, comprensibile a tutti. Estraneo solo a chi non hai mai sperimentato alcuna forma d’amore.
L’amore non si insegna con una lettura, l’amore è un’esperienza e l’amore sperimentato può, poi, essere nutrito dalla lettura.
Continua ad immaginare due persone che si amano. La prima conseguenza naturale, e positiva, dell’amore è la consolazione. Chi ama è consolato dall’amore, dai suoi stessi sentimenti. E, nello stesso momento, chi ama vuole consolare l’amato. Vedere l’altro in difficoltà, fa scattare immediatamente, nel cuore di chi ama, un allarme che immediatamente tende alla consolazione dell’altro, a curarlo.
Adesso, dovrebbe essere, allora, più facile comprendere perché nel Vangelo c’è scritto che Gesù è il “consolatore” e che Egli stesso, dopo la Resurrezione, vuole inviare l’altro Consolatore, lo Spirito Santo.
La prima lettera di Giovanni, al capitolo quattro, spiega che Dio è amore e quindi, la Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo sono amore, e noi tutti siamo gli amati.
Dio ci ama e vuole consolarci. E questa comunicazione d’amore, questo provvedere a noi, la consolazione del Suo aver cura di tutti, è la preghiera di Dio nei nostri confronti.
Dio prega. Forse non tutti lo sanno, o lo ricordano.
Dio prega per primo ed è il primo ad amare, il primo a perdonare, il primo a fare passi d’amore.
La Bibbia dice che Dio ci ha amati per primo: il primo atto d’amore è averci creato. Non ci siamo “fatti” da soli, ma siamo stati creati, Lui ci ha creato.
Ci ha chiamati per primo. E possiamo fare esperienza di Dio e della Sua sete per noi, perché siamo vivi!
Così come non può essere banalizzato, o dimenticato, che i nostri genitori sono stati i primi a collaborare con Dio facendosi nascere e non uccidendoci attraverso l’aborto.
Mi viene da fare un’altra riflessione, allora. Quanti sono a favore dell’aborto, e si battono per quest’ultimo, sono tutti vivi, persone che non sono state abortite. Che strano! Possono combattere la loro infelice battaglia solo perché sono vivi e non sono stati abortiti! Un bel paradosso.
Tutti coloro che sono stati abortiti non hanno avuto la possibilità di respirare, di avere un nome, una storia, di ridere e poter fare esperienza della vita e di Dio. Che grandezza, però, che, allo stesso tempo, grazie all’Onnipotenza di Dio, nessuna anima dei bimbi va persa perché Egli la accoglie nel Suo Amore.
Tornando alla preghiera. Chi ama, è consolato e vuole consolare.
A livello umano ne abbiamo fatto esperienza, ma solo con Dio quest’esperienza diventa ancora più bella e profonda.
Vorrei farvi comprendere meglio la preghiera di consolazione attraverso una piccola testimonianza. Si tratta della storia di san Francesco Marto, il piccolo veggente di Fatima di nove anni.
Sarebbe morto solo due anni dopo le apparizioni del 1917, vittima dell’epidemia detta “spagnola”. Quella terribile influenza che da sola ha fatto più vittime di Prima e Seconda guerra mondiale messe insieme – 22 milioni di morti in sei mesi. Il COVID, per esempio, è imparagonabile alla spagnola.
Francesco, con Lucia e Giacinta, fu testimone di un fatto straordinario durante i mesi delle apparizioni della Vergine Maria. I tre pastorelli furono visitati per tre volte da un angelo. Quello che suor Lucia descriveva come un giovane più bianco della neve, che il sole rendeva trasparente come se fosse di cristallo, e di una grande bellezza. Alla terza apparizione videro l’angelo con un calice nella mano sinistra e sospesa su di esso un’Ostia, dalla quale cadevano nel calice alcune gocce di sangue. Il calice lo diede da bere a Giacinta e a Francesco. Quel momento segnò talmente tanto la vita di Francesco che ne condizionò ogni istante della vita che gli rimase da vivere. Raccontò, infatti, che quel giorno sentì profondamente Dio. E sentiva, in particolare, tutta la sofferenza del Signore e l’esigenza di consolarLo, cosa che fece ogni giorno, fino all’ultimo respiro.
Trascorreva molte ore in chiesa, davanti al tabernacolo per adorare Gesù Eucaristia, quello che chiamava, “Gesù nascosto”. E quando si accingeva ad andare, diceva a tutti: “vado a consolare il Signore”. Tanti i digiuni e le penitenze che si infliggeva da sé per portare consolazione a Gesù e a tutta la Santissima Trinità.
Addirittura, negli ultimi momenti della sua vita, proprio quando le sofferenze erano tremende, promise di non lamentarsi neanche un secondo e offrire quel dolore per consolare Gesù.
E quando Lucia gli chiedeva di ricordare alcune cose alla Madonna dopo la morte, lui rispondeva che era meglio se lo avesse chiesto a Giacinta perché non avrebbe avuto tempo e avrebbe dimenticato tutto. Uno solo era il suo grande desiderio: consolare Dio! Per tutta la sua giovane vita san Francesco Marto ripeterà: “Ma non sentite com’è triste Dio? Voglio consolarlo”. E così ha fatto fino alla morte.
Capite se noi tutti riuscissimo a sentire questa realtà che nessun altro ci dice, se non alcuni santi, e cioè che Dio soffre, come potrebbe cambiare il nostro stile di vita? Come cambierebbe la pastorale delle nostre parrocchie, se noi sacerdoti, consacrati e consacrate e laici, sentissimo e capissimo la sofferenza di Dio. Tutte le nostre idee, tecniche pastorali, predicazioni, catechesi e l’intera vita della Chiesa ruoterebbero attorno alla grande sofferenza di Dio e al desiderio di per poterLo consolare: cambierebbe la prospettiva esistenziale di tutti noi.
Pregare per consolare Dio, perché Dio è innamorato di noi e non sempre noi siamo innamorati di lui. Lui ci vuole, ma non sempre noi vogliamo Lui. Dio che non ha trattenuto niente per se, ma ha dato tutto a noi, che si è dissanguato e anche la Sua carne ci ha donato. E noi, invece, reputiamo il denaro, fogli di carta, più importante di Lui.
Quante cose, persone, oggetti, superano la considerazione che abbiamo di Dio? Ce ne possiamo accorgere per l’impegno che diamo a qualsiasi cosa, fuorché alla cura della relazione con Dio.
Francesco era solo un bimbo, ma si è donato completamente a Cristo fino alla morte.
Io lo immagino come un bambino che una volta dall’altra parte, si è lanciato nelle braccia di Dio, senza voler più scendere. Probabilmente, oggi, lo troveremo ancora lì, tra le braccia di Dio senza scendere mai.
Possiamo farlo anche io e te? Si certo! Vivendo la nostra giornata offrendola a Dio. Facendo penitenze, rinunce, pregando, lodandoLo, cantando a Lui con tutto il cuore.
Possiamo offrire a Dio le nostre gioie e i nostri dolori, il nostro quotidiano, quel che siano e quel che facciamo a Lui. Le madri vivono la maternità offrendo le proprie responsabilità Dio. I papà possono fare altrettanto, lavorando. Gli studenti offrendo ogni sacrificio a Lui. E così ognuno di noi può vivere la propria vita trasformandola in preghiera.
Una preghiera di consolazione per poter toccare il cuore di Dio in modo semplice e dirgli: “Signore, non voglio perdere tempo, voglio consolarti e amarti con tutto il cuore”.
Amen
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