È disposto a pregare chi è pronto a morire! Chi desidera la preghiera vera, quella che porta all’unione con Dio, deve essere disposto a lasciarGli mettere le mani nella propria vita.
Quando una madre vuole preparare una focaccia per i propri figli mescola acqua e farina con le mani. Rigira l’impasto con energia, più e più volte. Se non si mettono le mani in quel fango bianco che sono acqua e farina, e non si dedica forza e pazienza, non si otterrà un pane morbido e buono da condire. È un lavoro fisico nel quale le mani forti prendono il sopravvento sugli elementi mescolati: due elementi a sé diventano una cosa nuova. Acqua e farina saranno indivisibili, senza mai smettere di essere, però, i due elementi originari.
Lo stesso avviene quando consentiamo a Dio, attraverso la preghiera, di entrare nella nostra vita e impastarla a Suo piacimento: diventiamo una cosa nuova. Le mani di Dio lavorano con forza, e a volte con delicatezza, se gli diamo il permesso. La preghiera è il mattarello della massaia che ci stende e ci rivolta per far di noi l’immagine meravigliosa di Dio.
La preghiera è come un calco nel quale viene versato il gesso liquido per creare una statua. Quel calco è l’immagine di Gesù e la preghiera ci fa diventare “alter Christus”, cioè un altro Cristo, quindi santi.
Non è possibile pregare senza sforzo, sofferenza, e ribellione.
Quando san Paolo nella lettera ai Galati afferma: “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”, non fa una dichiarazione facile e in tutta tranquillità.
È l’espressione di una crisi. Significa essere arrivati al punto di rottura, al punto della vera trasformazione. Vuol dire che l’io non esiste più, ci si è consegnati a Dio. Non voglio più la mia, ma la Sua volontà. È la manifestazione della fiducia totale, significa essere creatura nuova. “Non sono più io che vivo”, vuol aver inchiodato le nostre passioni e desideri, anche quelli belli, anche quelli santi, sulla croce di Cristo. Significa avere rinunciato completamente a se stessi e che a vivere è un Altro!
La tenda interiore si è allargata e non sono più uno, ma due. Ora c’è posto per Dio, è Lui che vive e io posso morire.
E allora saprò abbandonarmi completamente a Lui.
Quando mi troverò a scegliere tra due cose santissime, sceglierò quella che viene da Dio e non quella che viene da me.
La preghiera trasforma inevitabilmente se si diventa capaci di donare il nostro tesoro più importante che è la libertà. Chi prega vede crescere in sé un desiderio, che è una forza dirompente, ed è il desiderio di libertà. Paradossalmente, chi prega si rende conto che la libertà non è possibilità di fare tutto ciò che si desidera e si vuole, ma significa rinunciare alla propria volontà per compiere totalmente quella di Dio. Se vogliamo essere alter Christus, e cioè santi, dobbiamo accettare il dramma della preghiera.
La preghiera è drammatica perché ci avvicina, giorno dopo giorno, ad una meravigliosa condanna che solo i santi desiderano, che solo gli innamorati ardenti di Carità divina vogliono accogliere.
Chi prega riconduce se stesso al progetto originale che Dio ha pensato per tutti noi e che altro non è se non la sintesi del nostro battesimo. Il battesimo è un dramma! Non è certamente solo acqua versata sulle nostre teste, ma, consentitemi il paragone, uno strumento di morte come la ghigliottina o la sedia elettrica. Perché con il battesimo siamo chiamati a morire a noi stessi affinché risplenda Cristo. Viene seppellito l’uomo vecchio ed emergiamo come gente nuova.
La preghiera ci fa riscoprire innanzitutto che attraverso il battesimo siamo figli di Dio.
Sai cosa significa questo? Tutta la nostra vita cambierebbe in un attimo se ci vedessimo veramente e se vivessimo realmente da figli di Dio.
Purtroppo tante volte i cristiani vivono da orfani. Che grande differenza!
Ti chiedo di fare un nuovo esercizio.
Scrivi su un quaderno al centro, come un titolo, questa domanda: “come dovrei vivere, pensare ed agire se credessi realmente di essere figlio di Dio?”
Lascia Un Commento